Autore: | Silverio Forteleoni, |
ISBN: | 978-88-6254-305-7 |
2024, pp.334, 13,5X21
Brossura con bandelle
Buio, freddo, paura. È quello che prova, anche a distanza, di anni, una delle tante vittime di rapimento che hanno occupato le pagine di cronaca del nostro paese. Quando viene rapita Rosa Zuddas ha da poco compiuto ventidue anni. O almeno così pensa durante i mesi di prigionia. «Aveva perso il senso del tempo e i giorni, tutti uguali, tutti senza gioia, tutti conditi di paure e insicurezza, l’avevano spogliata di ogni difesa mentale; una delle cose che più delle altre la tormentava era il fatto che avesse perduto la nozione del tempo». La narrazione si sviluppa attraverso un racconto dove l’intreccio della vicenda rappresenta un compendio fedele di accadimenti di cronaca, ormai affidati alla storia. Scritto come un lungo diario collettivo, "L’ultima sigaretta" mostra da più punti vista (quello dei rapitori, quello della famiglia e quello della vittima) la complessa macchina di un sequestro di persona, uno come tanti che hanno insanguinato la Sardegna fino a poco tempo fa. L’autore ne indaga le radici, tratteggia personaggi e li colloca nel contesto sociale, offrendo al lettore gli strumenti per ripercorrere una realtà mai dimenticata. Una realtà fatta di dolore, di sofferenza e spesso di morte.
Sardegna centrale, maggio 1992
Buio, freddo, paura.
Queste le sensazioni che Rosa provò durante la notte, risvegliandosi all’improvviso, seduta sul letto, madida di sudore gelido, con il cuore in subbuglio, la bocca spalancata in un urlo silenzioso, gli occhi sbarrati nell’inutile tentativo di penetrare la totale oscurità che la circondava.
Era così da tanto. Sempre la stessa cosa. Si riadagiò supina, gli occhi sempre rivolti verso l’alto. Attese che il cuore recuperasse il battito normale e che il respiro cessasse l’affannosa ricerca di aria e riprendesse il ritmo di sempre.
I momenti successivi alle crisi notturne avevano una sequenza sempre uguale. La prima e più impegnativa azione era scacciare la profonda angoscia che l’avvolgeva con il suo manto di disperazione. Era un senso di smarrimento che le saliva dallo stomaco sino alla gola, serrandola in una morsa. La sensazione era di non riuscire a respirare. Annaspava alla ricerca di ossigeno e puntuale sopraggiungeva il panico: non c’è niente di peggio della fame d’aria per dare maggiore forza al terrore. Un rantolo accompagnava ogni movimento del petto che si dilatava e rilassava alla ricerca di quel sorso di aria che pareva non riuscire a farsi strada fino ai polmoni. Si sentiva morire. Ogni notte pensava fosse arrivata la fine. A poco a poco la ragione, assieme all’istinto di conservazione, aveva il sopravvento: se da diversi minuti cercava aria ed era ancora viva, significava che il prezioso ossigeno le arrivava, altrimenti sarebbe già morta. Quindi, se era ancora viva, lei respirava, a fatica, ma respirava. Questo pensiero, che ogni qualvolta si verificava il fenomeno, tardava a manifestarsi, le dava la forza di concentrarsi sul filo di respiro che la teneva in vita e lo curava, ampliandolo sempre più, sciogliendo il tremendo nodo che le serrava la gola.
La pagina più buia della Sardegna, gli anni oscuri dei sequestri di persona narrati per ripercorrere una realtà mai dimenticata. Una realtà fatta di dolore, di sofferenza e spesso di morte. I personaggi sono tanti ma l’attore principale rimane il sequestro di persona, in quanto crimine aberrante, disumano e di infinita crudeltà. Si racconta come una famiglia lotti per recuperare il denaro del riscatto per riavere il proprio caro e come la criminalità nasconda le sue tracce attraverso le complesse fasi e i ruoli delle diverse componenti. La narrazione si sviluppa attraverso un racconto dove l’intreccio della vicenda rappresenta un compendio fedele di accadimenti di cronaca, ormai affidati alla storia.